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giovedì 3 giugno 2010

L'altra versione

«Vedevamo attraverso i binocoli all'infrarosso le navi avvicinarsi, incuranti dei nostri avvertimenti», racconta Itai, rileggendo l'ultimo appello radio del suo comandante: «Nave Mavi Marmara, vi state avvicinando a un'area di ostilità che è sotto blocco navale. L'area di Gaza, la regione costiera e il porto di Gaza sono chiusi a tutto il traffico marittimo. Vi invitiamo a dirigervi immediatamente verso il porto di Ashdod, per i controlli del vostro carico, dopo di che la consegna delle forniture umanitarie avverrà attraverso i valichi ufficiali via terra, e sotto il vostro controllo».
La risposta è stata: «Negativo, negativo. La nostra destinazione è Gaza. Nessuno ci fermerà».
«Da quel momento tutto si è accelerato, ci siamo imbarcati sugli elicotteri con il preciso ordine di abbordare la Mavi Marmara e di convincere, ma senza alcun atteggiamento aggressivo, il comandante a fermare subito le macchine. In ogni caso non eravamo autorizzati a fare ricorso alle armi, se non in caso estremo. Il mio team aveva fucili caricati con proiettili di gomma e gas antisommossa».
«Quando siamo arrivati sulla verticale della Mavi Marmara abbiamo visto che la nostra prima squadra che si era calata sul ponte era letteralmente circondata da decine di individui armati di spranghe di ferro, coltelli, asce, catene, una folla urlante che aggrediva i nostri soldati con una violenza spaventosa. Abbiamo visto lanciare oltre la murata uno dei nostri, non sapevamo se era vivo o morto. Tre commilitoni giacevano sul ponte, in una enorme pozza di sangue, nonostante fossero esanimi continuavano ad essere brutalmente picchiati con degli idranti. A quel punto siamo intervenuti, ci siamo calati sul ponte e lì abbiamo visto che il gruppo dei cosiddetti pacifisti era molto numeroso e ben organizzato».
Ognuno dei miei compagni appena calato dall'elicottero veniva circondato da tre o quattro di loro, lo afferravano, lo isolavano in un angolo della nave e quindi lo picchiavano selvaggiamente, altri cercavano di trascinare i nostri sotto coperta. Come tutti quelli che erano scesi con me, eravamo a mani nude coi nostri fucili caricati con proiettili di gomma».
«Ho cercato di impugnare il mio fucile ma un colpo ha spezzato la mano che teneva l'arma, poi hanno iniziato a spararci addosso con armi da fuoco, erano proiettili veri e provenivano da vari boccaporti della nave. Ho impugnato la pistola con la sinistra e ho sparato in quella direzione. Poi ho visto calare dall'alto decine di miei commilitoni... Altro che pacifisti: quelli sono chiaramente dei provocatori, organizzati, venuti per attaccarci».

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