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giovedì 23 ottobre 2008

Analisi di un disagio: comunisti senza rappresentanza


Giovanni Morandi si chiede se stiamo assistendo ad una riedizione in minore di una protesta, che vivemmo quando studenti del liceo eravamo noi.
Scrive: "Vedo che ci sono modalità anche linguistiche della protesta, che pare giungano da lontano. Occupazione, autogestione, attivo studentesco. Nel riudire queste parole mi prende la tristezza, mi chiedo com’è possibile che non ci sia un briciolo di fantasia in quelli che hanno da ridire sulla riforma Gelmini, mi chiedo chi rappresentino, e mi rispondo che il tutto è semplicemente il frutto della mancanza di fantasia in chi oggi sta all’opposizione.
Ma forse è sbagliato stabilire paralleli e forse l’errore è indotto dall’aridità di formule e forme, che sono frutto di trapianti condannati al rigetto. E' un peccato che si tenti di togliere la possibilità ai giovani di pensare con la propria testa, che si voglia usarli, facendo ricorso alla forza dei picchetti come solo mezzo per imporre la volontà della minoranza sulla maggioranza.
C’è una sinistra che si illude di tornare ai suoi anni verdi. Si ritroverà nella malinconia dell’isolamento politico. Perché oggi nulla è più come allora."

Oppure è più semplicemente che i comunisti esistono ancora nelle scuole e, non avendo più nessuna rappresentanza politica di riferimento, si esprimono nell'unico modo loro possibile: la piazza, l'occupazione, il picchetto?
E quindi l'analisi più logica mi fa dire che la protesta nei licei e negli atenei mi pare manovrata dall’esterno, ovviamente per motivi politici che niente o poco hanno a che fare con i sacrosanti problemi della scuola publica.
Gli studenti una protesta non l'hanno mai negata a nessuno e stavolta non dispiace nemmeno ai professori.
Così si spiega il paradosso che sale l'adesione degli studenti alla protesta contro-Gelmini e sale di pari passo il consenso degli italiani pro-Gelmini.

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